Jan Fleischhauer, conservatore “per svista”

Jan fleischhauer Rincuora scoprire che, in certi ambiti, le differenze tra Italia e Germania non sono poi così grandi. Jan Fleischhauer è un giornalista di Der Spiegel e un paio di anni fa ha pubblicato un saggio che è anche una resa dei conti con la sinistra tedesca. Il titolo è già un programma: Unter Linken. Von einem, der aus Versehen konservativ wurde (Dentro la sinistra. Di uno che, per svista, è diventato conservatore). Fleischhauer, infatti, conosce bene ciò di cui parla: nato in una buona famiglia borghese di Amburgo, con entrambi i genitori impegnati nella SPD – il partito socialdemocratico tedesco -, è stato giovane e adolescente negli anni settanta e ottanta, ovviamente "di sinistra", perché era quella l'ideologia egemone ed era impensabile che un "ben pensante" non appartenesse a quell'ambito politico, fino a quando, a poco a poco, non ne ha visto tutti i difetti e le assurdità. Da questa intensa frequentazione con la sinistra – e dal successivo divorzio – è nato questo libro tutto dedicato alle idiozie del pensiero "progressista". Leggendolo, si ha la sensazione che il fenomeno non riguardi soltanto la Germania, ma anche altri paesi, tra cui l'Italia. Ciò di cui rende testimonianza Fleischhauer è un sentire comune in cui anche noi italiani – e forse persino altri europei – non fatichiamo a rispecchiarci.

Intendiamoci: ci sono capitoli che sono centrati sull'esperienza tedesca e che noi possiamo leggere con uno sguardo esterno. Penso, per esempio, al capitolo dedicato al declino della scuola e dell'istruzione in Germania, anche se è confortante, in un certo senso, notare che il sistema scolastico italiano non è necessariamente più disastrato di quello tedesco, che oltretutto è molto vario poiché l'istruzione è di competenza dei singoli Laender. C'è poi un capitolo dedicato al senso dell'umorismo – o alla sua mancanza, per meglio dire -, in cui l'accento è posto su nomi di attori o cabarettisti del tutto sconosciuti qui da noi. Impossibile poi parlare di sinistra tedesca senza citare il suo rapporto con la DDR che, ai tempi della sua esistenza, veniva trattata come una specie di zoo in cui i progressisti occidentali potevano vedere i tedeschi dell'est vivere nel loro "habitat naturale" quel magnifico esperimento chiamato socialismo, salvo poi naturalmente tornare agli agi del capitalismo e tuonarvi contro. Quando invece i cittadini della DDR hanno scelto l'unificazione, molti esponenti della sinistra occidentale sono rimasti delusi, increduli che il "popolo" non si comportasse come secondo loro sarebbe stato giusto e si lasciasse abbindolare dalle sirene della società dei consumi. Ma, a parte questi dettagli, i meccanismi descritti da Fleischhauer potrebbero essere trasportati di peso e applicati alla situazione italiana. Evidentemente certi insopportabili difetti sono nel "dna" della sinistra e non sono solo la cifra caratteristica di larghi strati della SPD, in particolare dopo il 1968, dei Gruenen (i verdi tedeschi) – contro cui Fleischhauer ha il dente particolarmente avvelenato, perché hanno tutti i crismi del "radicalismo chic" – o della Linke (il partito dell'estrema sinistra tedesca).

Uno dei primi capitoli s'intitola "L'invenzione della vittima" e mette in luce uno dei princìpi secondo i quali la sinistra funziona. L'idea è quella d'individuare, all'interno della società, una serie di vittime, le quali, a causa della loro posizione svantaggiata o discriminata – e spesso si tratta di vedere se è davvero tale -, invocano una sorta di "risarcimento danni" che può assumere diverse forme. In questo modo, tra vari gruppi si crea una sorta di competizione affinché possano accedere allo status di vittime bisognose di particolare tutela. La vittima, acquisito il suo statuto particolare a cui si associa la protezione politica, cercherà di mantenerlo il più a lungo possibile, innescando così un fenomeno di imitazione. Questo anche quando la vittima non è più tanto vittima o non è nemmeno più una minoranza (l'esempio che Fleischhauer fa è quello del femminismo). L'importante è comunque che un gruppo qualsiasi si mostri offeso e indignato: quanto più vi riesce, "tanto più sicuri sono l'attenzione dell'opinione pubblica e le offerte di protezione dello stato". A fare da pendant a questo capitolo ce n'è invece un altro ("Il colpevole come vittima"), in cui Fleischhauer descrive il fenomeno di deresponsabilizzazione e di vittimizzazione di colpevoli e crimininali da parte dei "giustificazionisti" che, credendo rousseauvianamente alla fondamentale bontà degli esseri umani, ritengono che le colpe siano (quasi) tutte della società e che sia possibile redimere e rieducare ogni delinquente, . E' come se la sinistra – constata Fleischhauer – avesse smesso di credere all'esistenza del "male" (o come se, banalmente, lo avesse circoscritto in un unico ambito: quello dei capitalisti sempre e per forza malvagi).

"In cammino verso la città del sole" Fleischhauer traccia quella che egli stesso definisce "una piccola storia della sinistra", partendo da Jean-Jacques Rousseau, la cui idea dell'originario stato di felicità in cui viveva l'uomo, grazie soprattutto all'assenza della proprietà privata e al contatto diretto con la natura, e della sua successiva decadenza, è alla base di molte utopie socialisteggianti. In questo caso la condizione mitica dell'età dell'oro è anche il progetto di una felicità futura – e poco importa che non sia suffragata dai fatti. Al centro di questa visione del mondo c'è la convinzione che il mondo non sia soltanto "migliorabile", ma sia "perfettibile". Peccato che, nel corso della storia, il tentativo di realizzare queste utopie abbia comportanto lo spargimento di molto sangue, ma non importa, perché l' "ideale" riscatta qualsiasi efferatezza. "La miseria delle utopie – scrive l'autore – si riassume in due parole: terrore e noia". Terrore e noia sono i due poli attorno a cui si coagulano tutti gli esperimenti di fondare quella "città del sole" di cui scriveva Tommaso Campanella, altro autore che Fleischhauer annovera tra gli ispiratori di chi mira a rifondare la società dalle fondamenta per portare la felicità agli uomini. Detto per inciso, questo excursus mi ha ricordato molto la stessa analisi che fa Alessandro Orsini dello gnosticismo rivoluzionario.

Negli altri capitoli Fleischhauer fa le pulci ad altri aspetti della sinistra tedesca. Il primo è l'ampliamento elefantiaco dello stato sociale, che ormai non è più soltanto uno strumento per garantire un minimo di sicurezza nei rovesci dell'esistenza, ma diventa quasi un incentivo a vivere a spese della comunità produttiva, soprattutto per chi ha rivendicato lo "status di vittima", che ha così "un biglietto gratuito per la rete di protezione sociale, con scadenza praticamente illimitata". In certi casi si verifica pure il fenomeno – non solo tedesco e non così raro – di chi contesta il "sistema", pratica (a parole) la resistenza all'omologazione, ma allo stesso tempo si gode gli incentivi statali senza farsi scrupoli di coscienza. C'è poi il rapporto tormentato tra la sinistra e il popolo, quello vero, non quello delle sue fantasie, e il disprezzo per il "piccolo borghese", che è invece la spina dorsale produttiva del paese, senza la quale non sarebbe possibile allestire il generoso stato sociale tedesco da cui attingono i contestatari di professione. C'è la tendenza a usare a sproposito l'accusa di "fascismo", che diventa "la mazza da baseball del juste milieu intellettuale" con cui randellare gli avversari ideologici, anche quando in realtà fascisti non lo sono affatto. E poi, ultimo aspetto ma non meno importante degli altri, Fleischhauer dedica un intero capitolo ai rapporti ambigui – per usare un eufemismo – di gran parte della sinistra tedesca con Israele e dell'antisemitismo che riaffora, nemmeno troppo nascosto, sotto una sottile patina di sedicente "critica alle politiche israeliane".

E' meglio essere conservatori, conclude Fleischhauer? Tutto sommato sì – anche e soprattutto in tempi di crisi -, perché questo significa non farsi troppe illusioni sulla perfettibilità dell'essere umano e della società. "La sua [del conservatore] antropologia priva di illusioni lo protegge da certe stravaganze e da certe chimere folli. Poiché concepisce l'uomo come un essere difettoso, che ha bisogno di essere puntellato dalle istituzioni, non si aspetta da lui più di quello che può dare. […] L'uomo è vile, opportunista e avido, tranne qualche eccezione (e tutti gli amici, naturalmente), e chi fa tesoro di questo fatto non avrà in seguito motivo di restare profondamente deluso e di serbare un rancore duraturo". Unter Linken – che ho letto nell'edizione tascabile, uscita dopo il grande successo dell'edizione rilegata - termina con un appendice dedicata alla sua ricezione, da parte di critica e di pubblico, e alle diatribe che ne sono evidentemente seguite. A mio avviso questo è non soltanto un testo molto utile perché comprime in poco più di trecento pagine quello che c'è da dire contro la sinistra oggi – e lo fa con dovizia di dati e argomenti, non limitandosi a un generico lamento astratto -, ma è anche un testo estremamente godibile, scritto con verve e con brillantezza, con un gusto raro per lo sberleffo e la polemica, con una leggerezza di tono che però non intacca la serietà e la profondità degli argomenti affrontati.

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8 risposte a Jan Fleischhauer, conservatore “per svista”

  1. avi ha detto:

    Per quanto condivisibile la tua analisi, a me sembra che si possa essere sia di sinistra e conservatori sia di destra e conservatori. Dunque il conservatorismo mi sembra più un tratto della personalità che un indirizzo ideologico, ed è per questo che preferisco essere radicale.

  2. Stefano ha detto:

    Ma l’analisi mica è mia, è di Fleischhauer!
    E poi qui non si sta parlando di “conservatorismo” nel senso di tratto del carattere, bensì di “conservatorismo” come convenzionalmente è inteso politicamente. Non è che tutti i termini vanno re-interpretati nelle loro varie accezioni semantiche, alcuni si sono stabiliti, in certi ambiti, in determinate accezioni. Quello che descrive J.F. sono il modus operandi e le manie della sinistra (tedesca). Se in Germania ci fosse un partito radicale rientrerebbe senz’altro nella “sinistra” contro cui J.F. lancia i suoi strali.

  3. Andrea ha detto:

    io credo che lui parli da privilegiato e da chi ha messo su un bel pancione.
    io penso che tutti gli eccessi ideologici (compresi anche quelli progressisti) siano sbagliati, ma non è in discussione che nella società contemporanea esistano ancora delle vittime (VERE), come pensionati e lavoratori dipendenti a 1000euro che son sempre quelli che pagano i “buchi” che lasciano i ricconi evasori, oppure l’ENORME e ingiustificata differenza di guadagni tra i super-padroni e gli operai ecc..)
    dice che tanto l’uomo è così (cioè vile avido ecc..), e allora tanto vale l’anarchia. credo però che fin quando ci sarà uno stato democratico, sia giusto che questo faccia rispettare le regole, a maggior ragione se l’uomo è come l’ha descritto.
    non condivido nemmeno riguardo il tema dello stato sociale. non solo lo stato soiale è giusto e sacrosanto, ma vediamo anche che il modello economico e sociale della sua germania, al contrario di quello degli usa, ne uscirà dalla storia vincente e anche conveniente.
    non è retorica, ma realtà dei fatti.
    ps: dice che il progressista prende di mira sempre qualcuno o qualcosa… non vi ricorda qualche “conservatore” di casa nostra?!

  4. nomedelblog ha detto:

    “io penso che tutti gli eccessi ideologici (compresi anche quelli progressisti) siano sbagliati, ma non è in discussione che nella società contemporanea esistano ancora delle vittime (VERE), come pensionati e lavoratori dipendenti a 1000euro che son sempre quelli che pagano i “buchi” che lasciano i ricconi evasori, oppure l’ENORME e ingiustificata differenza di guadagni tra i super-padroni e gli operai ecc..)”
    questa è, oggettivamente, quantitavamente, una cazzata. gli operai li vampirizza li stato e, nel mondo occidentale, hanno uno stipendio più alto proprio laddove le tasse sul lavoro sono più basse – per effetto diretto e indiretto, infatti i salari lordi tendono a salire. e i grossi evasori, per quanto si possa considerarlo moralmente deprecabile, influiscono in quantità nemmeno paragonabile ripetto a quanto si incamera con le tasse sul lavoro dei poveracci e sui consumatori (iva) tutti. mentre per la piccola evasione, questa putroppo è sì una delle cause del degrado di alcune regioni, ma anche l’unica cosa che tiene in piedi le loro disastrate economie.
    E bada bene che questo te lo potrebbe dire anche un… marxista o socialista, che solo conoscesse, almeno vagamente, ciò di cui parla.
    chiedo suca per lo spazio preso in prestito a stefano ma certe cose, nel 2011, non si possono più leggere.

  5. simone ha detto:

    “Questo anche quando la vittima non è più tanto vittima o non è nemmeno più una minoranza (l’esempio che Fleischhauer fa è quello del femminismo)”
    A parte il semplice fatto statistico (ma i numeri si posso sempre interpretare, Tremonti docet) per cui le donne non sono e non mai state una minoranza ma la maggioranza della popolazione, la tesi che vorrebbe sostenere Fleischhauer e’ che le donne non hanno (magari in Germania si puo´parlare al passato…in altri Paesi, Italia compresa mi pare difficile) meno possibilita’ di autorealizzazione rispetto agli uomini?
    Se questa e’ la tesi, mi pare evidente che sarebbe il caso che il buon Fleischhauer aprisse un libro di storia oppure, cosa molto piu’ utile, dovrebbe rendersi conto della differenza tra imporre l’ uguaglinaza e creare le condizioni di liberta’ perche quella uguaglianza si realizzi nei fatti. E´la differenza che Martha Nussbaum fa tra capacita’ e funzionamento: una societa’ liberale ben organizzata non puo´imporre a tutti un dato “funzionamento” (es. avere un salario dignitoso) ma deve rendere disponibile a tutti la “capacita’” perche’ quel funzionamento si realizzi.

  6. Andrea ha detto:

    quindi mi vuoi dire che l’enorme differenza di retribuzione tra i grandi manager e gli operai sia moralmente giusta? è e n o r m e, e con più passano i decenni con più questa forbice cresce.
    tu indirettamente sostieni che, siccome l’evasione dei piccoli è più influente di quella dei grandi, allora va bene quella dei grandi. beh, buon per te..
    la butto lì..non sono economista, ma non credi che laddove ci sia maggiore evasione, c’è anche un aumento delle tasse?

  7. Alessandro ha detto:

    Due spunti di riflessione (un po’ OT forse):
    Sul conservatorismo tedesco: La CDU è molto più “di sinistra” dei partiti conservatori di altri paesi occidentali: le differenze tra Merkel e Bush, o tra Kohl e Thatcher sono enormi.
    Sul parallelo Germania/Italia: la sinistra “maggioritaria” tedesca è storicamente (dalla seconda guerra mondiale in poi) socialdemocratica, quella italiana affonda le sue radici nel più grande partito comunista che stava al di qua della cortina di ferro. Non è una differenza ideologica di poco conto, così come le socialdemocrazie (ad es. scandinave) non erano paragonabili all’URSS.

  8. nomedelblog ha detto:

    Andrea, fortunosamente ricapito su questo post. Nemmeno io sono economista, ma un (male, malissimo) laureato in economia aziendale. Ma non conta perchè il buon senso basta. Non ho mai accennato alle differenze di salario, non cambiamo argomento altrimenti non si finisce più. Tu scrivevi che “i lavoratori pagano i buchi dei ricconi”: semplicemente, il lavoro dipendente – più preciso così che non “i lavoratori” – e i consumatori tengono in piedi la baracca, che è certamente inefficente (quando non inutile, quando non dannosa). Non sarebbe qualche punto in più per i ricchi, o qualche megaevasore beccato, a cambiare le cose. Tutto qui – NON ho detto che l’evasione è giusta – non ho neanche affrontato l’argomento!
    E la favoletta del “prima diminuiamo l’evasione poi abbassiamo le tasse” è certamente suggestiva, e non priva di logica. Peccato che NON è mai successo. Da nessuna parte. E’ successo invece, raramente, che qualcuno abbia tagliato e poi abbassato le tasse. Succede spesso che dopo che si sono abassate le tasse l’evasione diminuisca. Ma capisci bene che, aldilà che si possa considerarla giusta oppure no, questa è una strada che a qualsasi politico che deve essere eletto non conviene.

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