Piccolo cinematografo casalingo

Negli ultimi giorni sono stato un po’ abbacchiato, senza una vera ragione – il che è peggio, perché non si può incolpare nessuna circostanza speciale -, e per tirarmi su mi sono guardato qualche film in casa. Tutto sommato sono un tipo casalingo e, con il passare del tempo, tendo a diventarlo sempre più, imbozzolandomi mio malgrado.

Yehuda_leviIl primo film, visto con M., è Yossi & Jagger, la tenera storia d’amore (e di morte finale) tra due giovani soldati dell’esercito israeliano, appostati in un luogo non meglio definito – ma il regista Eytan Fox specifica, nell’intervista inclusa, che sono le alture del Golan – per combattere un nemico altrettanto indefinito (anche se, a dire il vero, c’è solo l’imbarazzo della scelta). Il film, girato ispirandosi in parte agli insegnamenti del "Dogma" di Lars von Trier, non è certo un capolavoro: si fa guardare, è piacevole e a tratti commovente, e mostra una certa freschezza soprattutto nella scena della ricognizione in mezzo alla neve, in cui i due protagonisti, il "macho" Yossi (Ohad Knoller) che non vuol fare sapere a nessuno di essere gay e il più delicato Jagger (Yehuda Levi), ridono, scherzano, si baciano e fanno l’amore dimenticandosi quasi di essere in guerra. Il finale è debitamente tragico e, purtroppo, prevedibile: la morte di Jagger durante un appostamento notturno scatena in Yossi l’immediato rimpianto di non avergli testimoniato pubblicamente e senza timori quell’amore che provava per lui e di aver preferito invece l’obbedienza alle convenzioni sociali. La vita è una sola – sembra dire – e, poiché ci può essere sottratta in ogni momento, non bisogna accettare compromessi inutili. Lungi dall’essere soltanto una storia di "omosessualità nell’esercito israeliano", il film ha davvero un valore universale: è una storia d’amore, punto e basta. Toccante la scena conclusiva in cui, in casa dei genitori di Jagger, Yossi – pur senza dichiarare esplicitamente il suo amore per Jagger – rievoca dettagli minimi della vita dell’amico, strappandolo così a un’appropriazione indebita da parte di un’altra soldatessa che ne era innamorata e che sembrava pronta a spacciarsi per la sua "fidanzata" agli occhi della madre. Lo sguardo che lo illumina giunge dritto al cuore e vale tutto il film.

MatadorIl secondo film è stato un po’ una delusione. M.S. è venuto da me sabato sera portando con sé il dvd di Matador, girato da Pedro Almodovar nel 1986. Non ho eletto il regista spagnola a nume tutelare, ma ho amato molti suoi film: l’ultimo, Volver, lo ritengo un capolavoro all’altezza di Todo sobre mi madre. Mi è piaciuto Carne tremula, che molti non amano affatto. Altri mi sono piaciuti meno: La mala educacion, per esempio, che però ho trovato migliore rispetto a Hable con ella. Matador, invece, mi ha annoiato. Sembra un film di transizione, tra quelli di Almodovar: non c’è più il gusto camp e dissacratore delle sue prime pellicole – o è comunque presente in misura molto minore: penso per esempio alla madre del protagonista interpretato da un giovanissimo e ancora androgino Antonio Banderas, cattolica integralista e iscritta all’Opus Dei, che Almodovar copre di ridicolo. Però manca ancora la capacità di scrivere quelle trame complesse che reggono una storia in modo credibile, come avrebbe invece imparato a fare in seguito. Quella di Matador, infatti, è piuttosto sgangherata: alla fine non capivo nemmeno bene perché i due protagonisti uccidessero i rispettivi partner e che cosa c’entrasse, in fin dei conti, il giovane Banderas in tutta la storia, che viene – tra l’altro – risolta con il banale ricorso al "deus-ex-machina", cioè delle facoltà extrasensoriali di quest’ultimo. Divertente, invece, il cameo di Bibi Andersen nella parte della fiorista.

KoyaanisqatsiL’ultimo film me lo sono guardato da solo a notte fonda. Si tratta di Koyaanisqatsi, per la regia di Godfrey Reggio. Erano anni che volevo vederlo: ho dovuto comprarmi il dvd a Londra. E’ un’opera incantevole, anche se non ne condivido i presupposti "ideologici", per così dire. E’ un film del tutto insolito: senza trama, senza storia, senza dialoghi, ma soltanto una serie di riprese accompagnate dalla musica incantatoria di Philip Glass, che fornisce il commento adeguato. In sostanza, come suggerisce il titolo del film (che, nel linguaggio hopi, significa "vita in subbuglio, vita sbilanciata"), il film mostra il passaggio dalla solenne tranquillità della natura al disordine che la presenza e l’attività dell’uomo hanno impresso a questa stessa natura. Le prime immagini, sottolineate da una musica più lenta, mostrano gli elementi naturali – terra, acqua, fuoco, aria – nelle loro imponenti manifestazioni: monti, crateri, oceani e fiumi, nubi e vento. A un certo punto la musica si fa più agitata e sinistra, appare in primo piano un trattore che ferisce la terra sconvolgendola e spezzando quell’equilibrio primordiale. Allora lo spettatore capisce: ecco che inizia il disastro. Quello che segue è fatto di riprese, via via più accelerate, delle attività umane. Grattacieli che crollano, aerei che volano, autostrade fotografate dall’alto su cui sembrano muoversi, impazzite, le automobili e, infine, gli uomini stessi. La sensazione è che tutto questo sia ripreso dall’occhio di qualcuno che ne è esterno, come se all’improvviso un extraterrestre, abituato a ritmi molto più lenti, fosse stato catapultato sul nostro pianeta e volesse restituirci l’impressione di velocità e di isteria che lui ha visto nelle attività umane. Il punto è che io, come spettatore, trovo eccitante e incantevole proprio questo "miracolo" dell’attività umana, nonostante tutto, e, lungi dal provarne repulsione, ne sono fortemente attratto. Sono al cento per cento un uomo della civiltà e se c’è una cosa che detesto è il mito del buon selvaggio e della natura incontaminata. Sta di fatto, però, che questo film è molto bello, da un punto di vista estetico. E lo è molto di più se si pensa che è di quasi venticinque anni fa – è uscito nel 1983. Oggi certe scene potrebbero essere tranquillamente prodotte con effetti speciali al computer: allora erano più innovative. Quando la velocità delle riprese ha raggiunto il suo vertice, tutto si blocca e si rallenta, la macchina da presa si ferma sui volti di persone prese a caso per le strade di New York, e in quei fermo immagine si legge – nemmeno troppo in filigrana – l’invocazione del regista per una vita che, più lenta, segua il ritmo della natura.

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5 risposte a Piccolo cinematografo casalingo

  1. aelred ha detto:

    di Almodòvar devi vedere
    – Entre tinieblas
    – Laberinto de pasiones

  2. Matthäi ha detto:

    Sì, “Koyaanisqatsi” è un bel film.
    Ed ha una bella colonna sonora.

  3. stefano ha detto:

    @ matthaei: guarderò anche Powaaqatsi…
    @ alred: forse “Entre tinieblas” l’ho già visto, anni e anni fa, ma ad Almodovar un ripasso non si nega mai. Non ho mai visto “Kika”, invece.

  4. Matthäi ha detto:

    Con “Powaqqatsi” non rischi il sovradosaggio?? 😉
    “Koyaanisqatsi” lo vidi da ragazzo, molti anni fa; “Powaqqatsi” non l’ho mai visto.

  5. stefano ha detto:

    Be’, mica lo guardo domani! E comunque io ho la fisima della completezza: se è una trilogia, devo vedere tutti e tre i film della trilogia medesima, se no mi pare di perdere il *messaggio* complessivo.

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