Le tentazioni gay di Zurigo

A Zurigo esiste una sauna gay che, come tutte le saune di questo tipo, era stata aperta perché gli uomini ci andassero non per rendere vellutata la propria pelle o espellere tossine sudando, ma per "socializzare", come si scriverebbe pudicamente persino negli annunci pubblicitari delle riviste specializzate. E così era, ma da un certo momento in avanti questa sauna ha cominciato a essere frequentata sempre più da marchette (traduco per i non informati: prostituti), con il consenso più o meno tacito dei gestori e nonostante l’ironico cartello all’ingresso che recita: "No alcohol, no drugs, no prostitution". La situazione è degenerata a tal punto che, a volte, sono più i prestatori di servizio che non i clienti.

Qualche giorno fa ho fatto la mia visita: marchette in gran copia, qualche (assai) attempato cliente – io resto sempre stupito e incredulo che uomini i quali a malapena si reggono in piedi conservino in sé un barlume di ostinato desiderio sessuale – e poco o niente in mezzo: io e pochi altri turisti che ci arrangiamo tra di noi, alla buona. Specifico che la frequentazione del luogo soddisfa il mio voyeurismo: i ragazzi che si prostituiscono sono quasi sempre molto belli, hanno fisici statuari e cazzi all’altezza della bisogna. Provengono per lo più da paesi a basso reddito e in Svizzera cercano di spillare qualche quattrino a signori che, immagino, ai loro occhi trasudano franchi da ogni poro. C’è anche qualche ragazzo originario del Sudest asiatico: si muovono a frotte dandomi l’impressione di essere vespe moleste che io scaccerei mulinando le braccia.

Sono coricato in una cabina quando entra dentro, sparato, un ragazzo. Alto, bello – non c’è che dire -, occhi azzurri e capelli castani sistemati in modo apparentemente disordinato, ma in realtà studiatissimo, qualche muscoletto guizzante nella zona addominale, senza però dare l’impressione di essere la classica tavoletta rigida. Con tono allegro mi chiede: "Stavi aspettando me?". Me lo dice in perfetto tedesco, il che, essendo noi a Zurigo, significa una cosa sola: il ragazzo è tedesco. Gli rispondo, un po’ cinico e un po’ sarcastico: "Veramente non sapevo nemmeno che tu fossi qui". Lui passa a elencarmi quello che possiamo fare. Io gli do una palpata attraverso l’asciugamano, perché lui – ah, vecchia decadente Europa! – non mostra immediatamente e sfrontatamente, come i brasiliani, la sua arma segreta, e ottengo subito l’informazione desiderata: "Sono venti centimetri". Mi trattengo dal fare commenti: so benissimo che il maschio medio ha un rapporto molto flessibile con il sistema metrico decimale quando si tratta di misurare il suo bene più prezioso. Infine lui aggiunge: "Cento franchi" (Vi risparmio la fatica di cercare il cambio: sono circa sessantacinque euro). La stessa tariffa che sussurrano tutti gli altri e che pare sia lo standard aureo, benché, a detta di M.H., talvolta, in chiusura di giornata o quando gli affari languono, si arrivi ai grandi saldi: settanta, cinquanta o, addirittura, trenta franchi (ma quest’ultima tariffa a me sembra più mitologia che realtà). Mi domando tuttavia se chiedano la stessa cifra a me, trentaquattrenne, e a un altro, settantacinquenne. Allora io ribatto: "Be’, ma almeno mi scopi?". Lui esita e dice: "Sì… ma… non per cento franchi". Ah! Allora mi viene da pensare: i soliti tedeschi! Il consueto romanticismo del popolo germanico. E in quel momento mi tornano in mente le parole del grande filologo dresdese di origine ebraica, Victor Klemperer (che fu anche lettore di tedesco all’Università di Napoli, per inciso), il quale dopo il nazismo – al quale scampò per avere sposato una "gentile" – scrisse un bel trattato sulla lingua dei nazionalsocialisti, dal titolo LTI. Notizbuch eines Philologen e, parlando del romanticismo – il quale, a suo avviso, contiene già in nuce tutto ciò che avrebbe caratterizzato il nazismo -, scrive: "L’elemento caratteristico decisivo del più tedesco dei movimenti spirituali è proprio la sua mancanza di limiti". Grenzenlosigkeit, in tedesco. Grenzenlos sind sie, ho pensato anch’io, a sentire le pretese di questo bel ragazzo, l’unico prostituto tedesco della sauna. Con calma gli ho risposto: "Puoi anche andare via, grazie" e ho tirato un sospiro, non so se di sollievo per i soldi risparmiati o per la rinuncia ai venti centimetri promessi. (Poi, poco più tardi, l’ho sentito parlare, in pessimo spagnolo, con un altro dei prostituti sudamericani e ho inteso che sarebbe uno studente o un praticante in uno studio di architettura. La prostituzione gli forniva l’argent de poche e non era di certo una necessità. Grenzenlosigkeit, appunto).

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